Vivian Maier
La bambinaia che fotografò l'America

La vita di Vivian Maier è interessante almeno quanto il suo lavoro. Una delle frontiere della fotografia contemporanea è la street photography, ovvero la capacità di tramutare un istante ordinario e quotidiano in qualcosa di artistico e ricercato. La ricerca sostanziale che operano i fotografi in questa area è determinata dall’intensa pazienza e dalla immane quantità di foto che si scattano per poter raccogliere “quel” momento. È una ricerca che richiede disciplina e abnegazione.
Seguire chilometri di strade alla ricerca di un volto o di uno sguardo può essere un’esperienza lunghissima. Se parliamo di Vivian Maier parliamo di una vita intera. Per cinquant’anni ha fotografato le strade delle città in cui ha vissuto producendo un mare di 150.000 negativi (di cui molti non sviluppati). Nata nel Bronx nel 1926 da madre francese, passa la sua giovinezza in Francia. Quando rientra negli Stati Uniti dopo la guerra fa la bambinaia a New York al servizio di una famiglia per poi migrare sull’altra costa e seguire i ragazzi della famiglia Gensburg. Praticamente della vita di Vivian non si sa altro, schiva e riservata non lasciava nemmeno il proprio nome vero quando portava a sviluppare i suoi rulli.
E nell’anonimato più completo finisce anche tutta la sua opera che rimane sconosciuta fino ai giorni nostri, quando John Maloof (un appassionato di ricerche storiche) compra per pochi dollari un baule che contiene due terzi della sua produzione. Senza un compagno né figli, inizia a fotografare negli anni ‘40 quando ancora si trova in Francia. Da allora non si separerà più dalla fotografia, per la quale nutre quasi un’ossessione. Con spirito da reporter immortala angoli, momenti e persone con l’occhio e l’intensità di Robert Frank e Diane Arbus.

Sguardi tristi di persone immerse nella propria quotidianità. Strade e commercianti immersi nei loro affari. Povertà e ricchezza, fianco a fianco, nella rappresentazione più iconografica del sogno americano (e dei suoi fallimenti). La personalità è complessa. Durante la realizzazione del film Finding Vivian Maier John Maloof racconta di aver visto tantissimi strani oggetti che le erano appartenuti e che collezionava, una sorta di archivio visuale che sicuramente accresce la curiosità su questo personaggio che ha un’aurea quasi mitologica.


Una vita passata al limite dell’indigenza, a servizio di famiglie benestanti e di cui non si ha memoria se non tramite le sue fotografie, tardivamente conosciute al grande pubblico. Immagini costruite in modo pulito, dove protagonisti inconsapevoli di piccole-grandi storie senza importanza, dominano con i loro corpi una scena pienamente riempita dal solo gusto per l’inquadratura perfetta.
Ogni tanto l’astuzia di un “cameo fotografico” con un’invasione di campo della sua ombra o il suo riflesso in un vetro che la incorporano nella sua arte. Il gusto per la realizzazione piuttosto che per l’immagine e la fama è una lezione fondamentale che andrebbe insegnata a molti artisti contemporanei. La bambinaia misteriosa, il cui fato ha restituito dall’oblio i lavori di una vita, scriveva ai bambini che curava oramai diventati grandi:“Ho fotografato i momenti della vostra eternità perché non andassero perduti”.
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