ARSEN SAVADOV
Eredità classica e post-sovietica.

Artista a tutto tondo, Arsen Savadov è figlio di un passato che non c’è più ma che ha lasciato profonde radici nel suo DNA. Ucraino ha vissuto nel pieno del comunismo dell’Urss e la sua arte risente del suo retaggio colma di simboli comunisti e riferimenti agli impianti sovietici. Pittore e fotografo, figlio a sua volta di artisti (suo padre fu uno dei leader del realismo socialista dando un enorme contributo alla letteratura dell’Unione Sovietica), le sue opere – tra realismo e metafisica – scandalizzano, spaventano, turbano.
Nel suo lavoro utilizzando una provocazione estrema si intravede una genialità che pochi illuminati riescono a carpirne i messaggi codificati. Nasce come pittore per poi spostarsi verso la fotografia. Se nel dipingere il soggetto bisogna sottostare ai tempi stabiliti che la materia esige per il risultato finale, nella fotografia la raffigurazione del
proprio pensiero risulta di più impatto e veloce.
Col tempo poi, le caratteristiche dei due mezzi artistici si sono andati a fondere aiutandosi a vicenda e alternando opere su tela e progetti fotografici. Thanatos e Eros, vita e morte, due opposti che viaggiano su una direttiva comune e che sono il tema ricorrente dei suoi lavori. È il corpo umano ad essere sempre il protagonista delle sue rappresentazioni.
Grottesco od elegante, che sia vivo o morto. E la sua dichiarazione rimane una e salda: come retaggio del nostro passato greco classico, siamo i portatori di una cultura del bello che lo si può intravedere ovunque, anche in minatori sporchi con il tutù. Con le sue opere Savadov, ci da un assaggio del frutto proibito che ci viene negato. Ci accompagna in un percorso che poi ci lascia soli, spiazzati davanti a ciò che ci viene mostrato.
Nudità, sangue, sessualità, crudeltà. Uno spettatore impreparato, senza una corretta educazione troverà profanante vedere un funerale con delle modelle con a lato in basso a destra i crediti degli abiti “Camicia, Anne Klein, $ 150,” “Scarpe, Karl Lagerfeld, $ 300,” ecc. avvicinando l’inconciliabile, l’opera sta a dimostrarequanto le diverse classi sociali non si preoccupino dei loro simili. Poveri e ricchi, vite agiate e vite al limite della sopravvivenza. Tabù e segreto, ciò che non si può dire ma nemmeno pensare.
Come in una discesa negli inferi i lavoratori della miniera diventano i portavoce di una bellezza e di una cultura sovietica: i minatori e il balletto. La crudeltà e la pericolosità del mestiere e la bellezza e la grazia della danza richiamando in maniera insolita l’attenzione alle condizioni lavorative soffocanti e insicure. Dove un ambiente lavorativo tipicamente maschile, va a scontrarsi con un altro dove la presenza dell’uomo nella danza classica è di solito associata erroneamente e culturalmente all’omosessualità.
Collective red, sessualità, morte e rimpianto si mescolano tra loro in un turbine di sensazioni ed emozioni. La prima serie ambientata in un macello, dove il toro e il sangue, personificazione del sesso e della vita diventano anche morte e carne da appendere. Nella seconda serie è una manifestazione comunista formata da veterani nei loro vestiti ordinati
che innalzano vessilli e bandiere dei loro leader comunisti ad essere sedotti da ragazzi in tutù rossi.
Ma l’opera che più ha scioccato è sicuramente Book of the dead, dove cadaveri post-autopsia sono stati collocati a dialogare tra loro all’interno di una scenografia coi vivi. Come in un racconto tra lo spettatore e il morto, l’anziano seduto sulla poltrona con il libro appoggiato alle gambe e gli spettatori che hanno partecipato inconsapevolmente alla scena si è creata una sorta di confronto in un dialogo tra vita e morte.
Attraverso una fotografia semplice e di impatto, Savadov ricrea quelle domande scomode che a nessuno piace sentirsi fare. Scuotendo le menti delle persone, egli mostra in grande formato quali siano i pensieri del nostro lato oscuro e che la società collettiva proibisce di far trapelare anche con la censura.

Ci puoi raccontare qualcosa di te? La famiglia, l’infanzia, i tuoi studi?
Ha dato un grande contributo alla letteratura dell’URSS. Mio padre era molto popolare e richiesto durante l’URSS anche se non era comunista. Fin dalla mia infanzia sono stato circondato dall’arte. Mi ricordo che stavo spesso nello studio di mio padre e che spesso rovinavo i suoi disegni e le sue illustrazioni provocando disordine e un po’ di lamentele. Da adulto ho frequentato una scuola d’arte e poi la National Academy of Visual Arts and Architecture of Ukraine.
Sei un figlio dell’Unione Sovietica. Quanto questo ha influito sulla tua arte?
Sei pittore e fotografo, come ti sei avvicinato a questi due modi di rappresentazione e quale dei due prediligi per i tuoi temi?
È stato il mio primo passo nell’arte e nella pittura. Poi mi sono occupato di performance e questo mi ha portato alla fotografia che ho scoperto essere il mezzo più adeguato per rappresentare in modo veloce e chiaro il periodo duro e gli eventi accaduti in questo paese negli anni ‘90 e 2000. Questi due mezzi (pittura e fotografia) sono stati in contraddizione tra loro per molto tempo ma nel corso degli anni, i personaggi hanno iniziato spostarsi da un mezzo all’altro.
La fotografia ha aiutato a dare una sorta di supporto alla pittura e viceversa. Tuttavia le performance sociali sono sempre la base per la maggior parte dei progetti forografici. Io preferisco sia la pittura che la fotografia ma essendo un pittore professionista trascorro la maggior parte del mio tempo dipingendo.

Quali sono i personaggi che rappresenti nella tua arte?
Credi che la tua opera sia comprensibile a tutti o solo a pochi?
Hai mai dovuto temere la censura?
Esistono confini morali o sociali in cui l’arte non può sconfinare?

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